La Calabria è una terra baciata dal sole, indolentemente allungata nella posizione più invidiabile dell'intero stivale che, in aggiunta, la natura ha voluto privilegiare mettendo non uno, ma due mari a lambire le sue coste lunghe come gambe di giraffa: dove sabbiose, dove rocciose. Comunque bellissime.
Una terra dove i mercati pullulano di gente ed i mercanti offrono taralli, salsicce, frese, filoni e soppressate, “butirri”, le provole ripiene di burro, appesi come i caciocavalli penzolanti sopra i barattoli di “mustiche”, impasti cremosi di pepe con sardella.
Sono questi i primi sapori calabresi che assaggiamo in
Non dire niente (Edizioni Solfanelli), il libro dell’esordien- te Maria Barresi, giornalista reggina, romana di adozione.
Ma in contrapposizione ce sono purtroppo altri, ben diversi: aspri, acidi, violenti, di cui tanti non parlano nascondendosi dietro un muro di indifferenza, omertà, rassegnazione, paura. Sono quelli della violenza che si consuma tra le mura domestiche, quelli dolorosi della storia di Nicla, vittima di un genitore perverso che la obbliga a sottostare alle sue porche voglie, nonostante all’ apparenza sia una persona di tutto rispetto, uno stimato professore di biologia.
Nicla, la protagonista di questo romanzo-verità, ha diciotto anni ed è grazie a Clara, una sua insegnante, peraltro supplente per un periodo di soli cento giorni, che le fa da tramite con la giustizia, che denuncia il padre.
Dove trova la forza di farlo ed abbattere quel maledetto muro dietro cui tutti, invece, si nascondono?
“Ho deciso di denunciare perché ho visto la montagna. Era sempre un budino alle pere scavato con un cucchiaino. Sembrava felice di una dolcezza infinita e irta verso il cielo. Poi un giorno ho visto la stessa montagna prendere fuoco. Non nascondo che qualche volta ho pensato di accendere un fiammifero per bruciarmi i capelli e assomigliare alle montagne” spiega ella stessa al giudice.
Intorno a Nicla ruota una serie di personaggi, coinvolti per una ragione o per l’altra nella vicenda tra cui svolge un ruolo fondamentale Clara, alter ego dell’autrice, che nel desiderio di andare oltre la superficie dei fatti si dedica ad un’indagine tutta personale, riuscendo a trascinare anche Piero, il magistrato inquirente.
Ma perché romanzo-verità, come l’ho definito prima? Perché questa è, appunto, una storia vera che prende dentro e lascia – nonostante tutto ciò che sentiamo quotidianamente – attoniti, increduli: quella di un padre che costringe la figlia a soddisfare i suoi vizi, che è violento con la moglie ed i figli maschi, che violenta anche un’alunna durante una gita ad un sito archeologico e che per tutto questo viene condannato, dopo dieci anni di processo, a soli quattro anni e mezzo, cui si sono aggiunti altri quattro anni di reclusione per una successiva condanna dovuta ad una seconda denuncia seguita alla prima.
Storia che Maria/Clara ha fatto diventare romanzo e regalo di matrimonio per la nuova Nicla che, riscattata la sua dignità ed il suo essere donna, si è avviata verso l’altare a fianco del ragazzo che l’aveva salvata da un tentativo di suicidio, con un bouquet ricolmo di rami di bergamotto tra le mani cui sono attaccati i frutti verdognolo-giallastri dal profumo intenso e dalla buccia grossa. Perché come le aveva detto suo nonno, più la buccia era grossa, più avrebbe regalato fertilità e prosperità al suo domani.
Mentre il profumo degli agrumi si faceva sentire forte e, di fronte, le luci della Sicilia brillavano sul mare.
Loredana Limonehttp://guide.supereva.it/letteratura_gastronomica/interventi/2007/07/301174.shtml